Mentre impazzano le previsioni e le cronache di giornalisti ed esperti vari in merito alla guerra in Ucraina, in Italia si fa sentire una voce autorevole e infirmata. Pino Agnetti, scrittore, storico, ha collaborato con varie Istituzioni, fra cui i Ministeri della Difesa e degli Affari Esteri. Nella sua carriera ha seguito e documentato “sul campo” tutte le le missioni internazionali per la pace e la sicurezza dell’Italia (dalla Somalia alla Bosnia, dal Kosovo al Libano, dall’Afghanistan all’Iraq). Sulla Gazzetta di Parma del 19 corr. fa un’analisi e una previsione sui prossimi sviluppi della situazione in Ucraina, che risulta, a mio avviso, molto più concreta di quelle fatte dai tanti giornalisti, legati alla teoria dominante pro Zlelensky, che magnificano la controffensiva dell’esercito ucraino e prevedono la disfatta di Putin.
Entro agosto o settembre al massimo (oltre quel termine non avrebbe più senso parlare di «controffensiva» non potendo questo tipo di operazioni durare in eterno), . afferma Agnetti – sarà possibile tracciare un quadro dei reali rapporti di forza certamente più attendibile di adesso. Ed è a quel punto (ma non prima di allora) che avrà finalmente un senso parlare di negoziato. Quello a cui, a dispetto dei tanti «no war» da operetta in servizio permanente attivo, le diplomazie occidentali (inclusa la nostra) non hanno mai smesso di lavorare in questi lunghi e terribili sedici mesi. Lo schema è molto più semplice di quanto non si possa pensare: «congelamento» della situazione sul campo (senza che ciò comporti la rinuncia da parte di Kiev a ristabilire la propria piena sovranità territoriale) e ingresso a marce forzate dell’Ucraina sia nella Ue che nella Nato. In pratica, è come se l’America e l’Europa avessero detto e stessero dicendo a Zelensky «Vedi quanta terra potrai riconquistare grazie all’appoggio che ti abbiamo dato e che continueremo a fornirti».
Dopo di che, qualunque sia stato l’esito della controffensiva in atto, l’Ucraina entrerà in un modo o nell’altro nella grande famiglia europea e atlantica potendo godere da quel momento anche della sua cornice di sicurezza pur non facendone ancora ufficialmente parte (ma con la garanzia di una corsia di accesso preferenziale sicura e veloce).
Con tutte le possibili varianti del caso, è questa la tela negoziale che si sta tessendo lungo l’asse Washington, Parigi, Londra, Berlino e Roma. La stessa che potrebbe essere al centro di una grande conferenza sulla pace da tenersi entro l’estate in Europa.
L’«opportunità» negoziale descritta prima a grandi linee avvalorata da una serie di segnali fattisi troppo frequenti per essere giudicati casuali. Pochi giorni fa, il Parlamento europeo ha votato a stragrande maggioranza per l’adesione dell’Ucraina alla Nato. Da notare che anche i parlamentari italiani hanno votato in massa a favore (tranne un ex leghista e due esponenti dei Verdi mentre la delegazione del Movimento 5 Stelle si è astenuta). Quasi contemporaneamente, il Segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, è andato alla Casa Bianca per perorare la stessa causa. Sull’altro versante, Putin si è messo di colpo a parlare di «obiettivi in gran parte raggiunti» e di «soluzioni che possono funzionare». Mentre da parte sua Kiev ha rilanciato l’idea di una zona smilitarizzata sotto controllo internazionale fra Ucraina e Russia che garantirebbe la tutela dei confini di entrambe. Certamente restiamo ben lontani da una pace piena e definitiva, possibile solo con il completo ritiro della Russia. Però ora uno spiraglio c’è. Allargarlo e consolidarlo è la sfida cruciale, che ci sta di fronte.
Non posso che dirmi d’accordo con le valutazioni concrete e fondate dell’articolista.